Antefatto a Montepolesco

Dagli appunti del cronista anonimo: Invertendo l’ordine degli addendi, i conti non tornano... Perché? Qui di seguito il cronista anonimo riporta il racconto scombinato di un tale, chiamato “ il pazzo del villaggio”

Corrispondente di guerra. Cronista anonimo.

 

30 giugno 1944 - Eccidio di Filottrano

Nelle prime ore dell’alba si è verificato un improvviso rastrellamento ai danni della popolazione per opera di un nucleo operativo della forza tedesca in ritirata.
Per la verità questo episodio non è stato l’unico, verificatosi nei tempi. Nelle precedenti occasioni però l’ operazione ebbe solo il fine di reclutare gente per i lavori di completamento del campo di concentramento allestito a Sforzacoste.
Già dalle prime avvisaglie oggi si è percepito subito invece che lo scopo dell’operazione fosse di altro tenore. I fatti, due, di per sé poco indicativi, hanno fatto temere il peggio. Dal camion, in cui è stato stipato il gruppetto di malcapitati, dopo un lungo sferragliare, si è fermato a metà Corso ... far scendere un tale. L’automezzo, giunto poi a destinazione e fatti scendere i sequestrati, dopo una conta e successiva riconta da parte del comandante preposto al drappello di tedeschi, è stato ordinato perentoriamente ad un altro dei malcapitati di allontanarsi. Era l’undicesimo.

[ Manca una pagina del cronista in nostre mani].

….Se non di seguire il protocollo delle formalità di quello che sarebbe dovuto accadere.

Il comando giunse, nel silenzio di ghiaccio alle 7:00 del mattino, allontanati coloro che, poco prima, erano stati attoniti presenti.
Con voce rotta gridò. “fuoco”.
Quante volte nella storia del mondo è stato gridato al comando di “ fuoco, fuego, fier, fire, ecc…” del fuoco senza che, per l’occasione, fosse in corso un principio d’incendio…
Cosa dire di più? L’evento in quanto tale si commenta da sé. Basti dire solo che la barbarie sarà sempre di moda sotto il sole.
Dopo l’eccidio
Se il grande Pablo fosse stato di passaggio da quelle parti forse avrebbe composto un’altra opera, oltre alla “ Guernica” dopo aver letto con il suo pensiero la scena dell’eccidio:
Scena unica
Alle 9 e 31 tutto era concluso, accompagnato da un silenzio siderale. I cadaveri scomposti fra i cespugli oltre il ciglio della strada. Uno con un occhio vitreo, il sinistro, guardava in alto in alto a destra verso il cielo. Un altro riverso, a pancia in sotto, fra collo e spalla, con la testa, che faceva angolo retto e la schiena gibbosa. Nel cadere forse si è rotta la spina. Un terzo sempre riverso a pancia in sotto stringeva un ciuffo d’erba selvatica come per evitare di cadere in un burrone. Il quarto mostrava la maschera orribile di chi, all’ultimo, si è ribellato al colpo di grazia inferto sulla tempia, quella di destra. Un quinto si teneva stretto il petto dopo aver tentato di cancellare l’effetto della raffica di mitra. Il sesto esibiva il viso sereno. Di chi? Perché? Come poter rispondere? Il settimo teneva la mano dell’ottavo. Erano fratelli. Il nono un mucchio di stracci senza poter capire dove fossero la testa e i piedi. Forse è vissuto più di tutti, resistendo anche all’inesorabile riprova dell’esecuzione. Il decimo, l’ultimo della fila aveva la testa appoggiata fra un cespuglio e una pietra.
Forse Pablo, dopo aver dipinto “Guernica” avrebbe scritto il quadro allo stesso modo, con gli stessi colori, senza perdere particolare alcuno di quanto gli si era proposto davanti ai suoi occhi nel mattino del 30 giugno 1944.

Tempi supplementari
Scena prima: Poco lontani dal ciglio della strada stazionavano immobili cinque soldati. Armati di tutto punto, con la canna del mitragliatore pendente in parallelo al braccio destro, sono vestiti di nero, e con indumenti molto aderenti alle membra per dare evidenza e marzialità ai muscoli di ognuno di essi. Le mostrine designano l’appartenenza, i gradi non compaiono, salvo che per uno. Caporal maggiore, fazzoletto rosso intorno al collo, aitante. Ferrigno, anche nelle movenze. Annusa l’aria. Sono immobili tutti eccetto lui, che perlustra, attratto dal rumore di un gatto, che, dopo essersi fermato, con una gamba alzata, la destra osserva curiosamente il quadro del misfatto, per sparire, dopo essersi fermato a raspare all’indietro con le zampe posteriori dopo aver voltato la schiena alla scena dove giacciono i morti. Inorridito, scuote la testa per mostrare compianto. Che appartenga ad uno di essi, fra i morti?
Scena seconda: A passo guardingo. Cauto arriva un tale con le gambe piegate sulle ginocchia. Diffidente nello sguardo rivolto intorno e nelle movenze. Il curioso di turno, colui che si assumerà l’incarico di fare l’eroe nel raccontare.
“Rauss!”, fuori di qua. Fu la voce rauca, che risuonò nel silenzio abissale che regna nel Corso centrale del paese. Il curioso scomparve come un topo inseguito da un gatto invisibile.
Scena terza:
Neanche i militi, impegnati nel picchetto militare, si mossero dalla posizione rigida di attenti, con lo sguardo “assente” rivolto al controllo di corpi morti, per sempre, si mossero a causa di quell’anomalia. Erano consapevoli di dover fare la sentinella per ventiquattro ore.
“ Dalla fucilazione erano corse tre ore e mezzo” calcolò dopo aver ispezionato il suo orologio, uno di essi approfittando della distrazione del suo capo impegnato ad allontanare l’importuno di turno. “ Ci sarebbe stato il cambio?” si domandò, dopo essersi ricomposto sugli “ Attenti”.
Scena quarta:
Lentamente comparve dal fondo del viale una donna. Vestita di che? Indossava uno scamiciato, forse nero? Il cronista non lo accenna.
Attraversò ciampicando la porta in fondo al Corso, mentre l’orologio in alto segnava le 11 e 17. Poteva essere una madre, una figlia una sposa: chi sa. Là oltre il ciglio della strada di cadaveri ce n’erano di tutte le età. Si volge intorno. Faticosamente si regge sulle gambe. Piega la testa verso sinistra. Lo ha individuato il suo fra i morti. Fà per lanciarsi oltre la linea ideale “untersagt”. Fermarla è un gioco da ragazzi per due soldati con due mitra incrociati. La donna, prima di svenire, emette un pigolio appena percettibile.
Scena quinta
Un camion scende lentamente Corso Vittorio Emanuele, preceduto da una Jeep. Sono le ore 13 e 20. Dalla jeep scende il capitano, dal camion scendono i soldati che concedono il cambio al primo turno di guardia.
Il capitano, lo stesso che all’alba ha dato l’ordine di fuoco, si allontana dal ciglio della strada, dopo aver ispezionato lo stato dei morti. Si dirige verso un folto cespuglio, dall’altra parte della strada. Non visto, vomita.
Scena sesta
Se ne sono andati tutti gli esecutori dell’ecidio…con la promessa di rifarsi vivi, presto, molto presto.
Scena settima:
Per pudore si lascia all’immaginazione del lettore le manifestazioni di strazio, di dolore e di cordoglio dei familiari che, all’alba del giorno dopo, si sono recati nel luogo per reclamarne le salme.

Conclusione [del cronista]
Sono stati eroi? No. Perché? Non hanno voluto né scientemente, né consapevolmente, andare in contro alla loro triste sorte. Però i loro nomi dovrebbero essere chiamati all’appello, sempre, insieme a tutti quelli che nel mondo hanno dovuto subire lo stesso tristissimo destino.
A testimonianza poi della nefandezza di altri, che si sono arrogati il diritto di strappare la vita altrui, senza ragione né scopo, basti dire, che in ogni caso, saranno giocoforza destinati a ricordare, forse con raccapriccio, , a meno che l’indifferenza s’insinui nel lento ma inesorabile cammino della loro vita.

Giunse una Jeep chiusa. Ai lati delle fiancate campeggiava la Croce Rossa. Egli provò per la novità, un groviglio di emozioni. Avrebbe mai potuto immaginare la presenza di un’ambulanza, di quei tempi nelle campagne delle Fratte, in via Petritoli? E la barella allestita in cui era adagiato un uomo dalle membra lacere e coperte di sangue? Una gamba piegata, la sinistra, mostrava all’altezza della tibia, ossa bianche sporche di terra a macchie. No! Le sue fantasie non avrebbero mai accettato immagini simili.

Nell’intermezzo della calma piatta che veleggiava nei paraggi del luogo, all’alba del 30 giugno, Leon scese dalla sua Jeep. Dopo essersi sgranchito le gambe, passò oltre alla ricerca di un vuoto nella siepe di destra. Sulla strada non ce n’era. Ritornò indietro per dirigersi davanti al passo di Villa Margarucci. Là davanti a lui lontano si distende la valle del Musone, ma più vicina quella del Fiumicello, rappezzata dalle figure geometriche, per lo più rettangoli, delle colture di foraggi, grano appena mietuto e granturco, tagli freschi e verdeggianti di erba medica....